Dalla parte di chi non può dire

Il processo decisionale diventa eticamente complesso quando la persona con disabilità manca della capacità di discernimento. L’espressione chiara e libera di una volontà permette di assicurarsi che la persona possa scegliere in conscienza il proprio bene. Ma non sempre è cosi, e allora è facile smarrirsi nell’aiutare a una presa di decisione rispettosa per la persona. Questa difficoltà non dipende solo dalle incapacità comunicative che caratterizzano queste situazioni ma anche da processi psicologici inconsci delle altre persone coinvolte. La diversità della persona con disabilità e incapace di discernimento rimanda infatti a una condizione esistenziale che, solo apparentemente estranea, conosciamo tutti bene ma ricordiamo a stento.

Ognuno di noi si è trovato in situazione di dipendenza estrema e di incapacità di esprimersi o di farsi capire. Pensiamo alla straordinaria esperienza della prima infanzia. Neonati, ci orientiamo con l’olfatto, sentiamo con il tatto e chiediamo a chi ci sta accanto di aiutarci a delineare il nostro mondo interno e quello circostante. Partiamo quindi da una grande incomunicabilità, da un silenzio riempito da monologhi altrui, tesi a intuire quel che possono essere i nostri bisogni, più o meno fondamentali. Questa posizione di incapacità di volere e di agire è costituzionale in noi, che ci sforziamo durante tutta la nostra fase evolutiva di superarla. Per alcuni, queste difficoltà sono però nel corso della vita insormontabili: l’ambiente sfavorevole, il fato contrario o le disabilità tali da non poter andare oltre con le proprie forze. 

Nel processo decisionale condiviso, la nostra sensibilità e le nostre esperienze ci portano quindi a identificarci con l’altra persona incapace di esprimere una volontà, rischiando così di portare nel nostro giudizio stati emotivi o necessità personali. Solo consapevoli di questo rischio potremo riportare l’attenzione a chi è diverso da noi. 

Questo è il senso dell’empatia e della compassione. Certamente l’autonomia diventa ancor più relazionale quando una persona non può più scegliere da sola e diventa una questione di famiglia o di comunità. Ma al centro della scelta rimane sempre la persona, l’individuo. Quando non sappiamo quali siano i pensieri e i sentimenti di una persona, proviamo a immaginarceli e soprattutto a farcene portavoce. Si riuscirà allora a rispettare decisioni che magari non faremmo e prevenire situazioni eticamente complesse.

Nicola Grignoli, Psicologo specialista FSP in psicoterapia/psicologia della salute e membro della Commissione di etica clinica nell’ambito della disabilità (COMED)