Riflessioni sull’autodeterminazione delle persone con disabilità

Nell’accompagnamento di persone con disabilità, come professionisti ci troviamo spesso in situazioni di tensione etica tra il dovere di protezione e il diritto all’autodeterminazione; diritto questo che la Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con disabilità ci indica come punto fermo, come stella polare da non perdere di vista e che guida il nostro viaggio accanto alle persone che accompagniamo, praticando con loro i sentieri, rispettando i confini ed aprendo quando possibile delle nuove vie. 

Ma cos’è l’autodeterminazione, cosa significa autodeterminarsi? 

Secondo Barbara Lana l’autodeterminazione è la possibilità di prendere delle decisioni, secondo le proprie preferenze, i propri valori e desideri, senza interferenze esterne non giustificate e con lo scopo di aumentare il controllo sulla propria vita e poter così migliorare la propria qualità di vita, qualità di vita valutata attraverso le proprie percezioni e aspettative. Non significa quindi fare da soli, fare tutto quello che si vuole ed avere solo diritti e nessun dovere. 

Autori di riferimento quali Wehmeyer e Bolding, con un approccio ecologico, ricordano come il comportamento autodeterminato è frutto dell’interazione tra, da un lato, un percorso di apprendimento e acquisizione delle competenze individuali e, dall’altro, la creazione da parte dei contesti di opportunità per vivere esperienze diversificate. Gli autori danno rilievo al ruolo dei sostegni che, in particolare per le persone con disabilità, devono essere offerti e modulati nell’arco di tutta la vita e non solo in momenti particolari. 

L’autodeterminazione deve quindi essere sostenuta, educata e accompagnata ed è da comprendere come un processo dinamico ed evolutivo, che si costruisce tramite l’esperienza e le relazioni significative, durante tutto l’arco della vita. Le abilità e competenze crescono con l’aumento di possibilità di sperimentarsi in luoghi e ruoli diversi. Resta maggiormente correlata alle occasioni offerte per fare esperienza nei contesti di vita piuttosto che al passare del tempo ed aumenta grazie ai ruoli valorizzanti che il giovane riesce a raggiungere e fare propri.

Creare opportunità di crescita, lasciare spazi di sperimentazione necessita la collaborazione di tutte le figure significative che concorrono alla progettazione e realizzazione del Progetto di Vita della persona e comporta confronti e negoziati talvolta difficili e un’attenzione particolare alle transizioni, ai passaggi delicati che la persona affronta durante la vita. 

Questo richiede a chi accompagna il giovane e/o la persona con disabilità, di permettergli di sbagliare, di cadere e rialzarsi, smarrirsi e ritrovarsi, così da poter anche riuscire a misurarsi, a valutarsi, a piacersi e conquistare o confermare poco a poco lo statuto di adulto. 

Il contesto è chiamato pure ad assumersi dei rischi, rischi che siano positivi, condivisi e misurati e che promuovano uno sviluppo delle competenze: ciò permette ai professionisti e anche ai famigliari di spostarsi lentamente dal polo “protezione” al polo “autodeterminazione” – senza per’altro metterli in antagonismo ma considerandoli piuttosto un continuum nel quale muoversi;  aprendo e scoprendo  nuovi sentieri e modificando i confini così da permettere alla persona di sentirsi protagonista del proprio progetto di vita e poter esercitare un controllo- anche minimo- sulla propria vita o in alcuni ambiti di vita per lei prioritari in quel momento.

Donatella Oggier-Fusi, Docente SUPSI/DEASS Lavoro Sociale, Consulente atgabbes