Disabilità; tra capacità di discernimento e volontà presunta

“Se una persona incapace di discernimento deve ricevere un trattamento medico (…) il medico curante definisce il trattamento necessario in collaborazione con la persona che ha diritto di rappresentarla in caso di provvedimenti medici” (art 377 CC cpv 1).

Come curanti, confrontati con la necessità quotidiana di prendere decisioni a volte gravose, questo enunciato del Codice Civile, introdotto nel 2013, rappresenta un punto fermo, nell’affrontare le situazioni legate a quei pazienti che non sono in grado di esprimere compiutamente le loro volontà.

Lo stesso codice introduce però anche due concetti che, seppur altrettanto chiaramente esplicitati hanno un po’ tendenza ad essere messi in secondo piano:

 “Se mancano istruzioni nelle direttive del paziente, la persona con diritto di rappresentanza decide secondo la volontà presumibile e conformemente agli interessi della persona incapace di discernimento” (art 378 CC cpv 3).

Per quanto possibile, la persona incapace di discernimento è coinvolta nel processo decisionale (art 377 CC cpv. 3).

Questi stessi concetti di “volontà presunta”, e di coinvolgimento della persona incapace di discernimento sono anche ripresi e approfonditi dalla direttiva in merito, redatta dalla Commissione Centrale di Etica della’ASSM1.

Come fare però a considerare la volontà presunta di chi non ha mai avuto l’occasione di esprimerla in modo esplicito? Come coinvolgere una persona con una disabilità mentale grave in un processo decisionale che spesso appare difficile da comprendere a chiunque non sia un addetto ai lavori.

Nel documento dell’ASSM vi è un breve capitolo dedicato specificatamente alle persone con disabilità intellettuale e si specifica come, per adempiere a questo compito in modo giuridicamente ma soprattutto eticamente corretta, siano necessarie “un’informazione adattata, una comunicazione empatica e un lasso di tempo sufficiente” e ancor più indispensabili risultano essere “esperienza e competenze comunicative”.

L’insostituibilità del contributo di famigliari e curanti regolari (educatori ad esempio) viene sottolineata spesso e questo indipendentemente dal loro eventuale ruolo giuridico di rappresentanti. 

Per acquisire queste competenze comunicative sono necessarie certamente esperienza e formazione ma questi strumenti resteranno sempre insufficienti se non saranno accompagnati dalla necessaria apertura (della mente ma anche del cuore) che fa di noi degli individui accoglienti prima ancora che dei professionisti della salute.

Rispettare, nel limite del possibile, il diritto all’autodeterminazione delle persone giudicate incapaci di discernimento deve essere una preoccupazione costante di medici e curanti in genere. Non fare tutto quanto è possibile per garantire questo rispetto significa aprire inevitabilmente le porte al pericolo, sempre più presente nel mondo di oggi, della discriminazione e della negazione dei diritti fondamentali.

Auspico in futuro un avvicinamento sempre maggiore tra il mondo ospedaliero e quello di chi assiste e si prende cura delle persone con disabilità e questo potrebbe anche passare attraverso una collaborazione ancora più intensa tra le diverse istanze etiche di queste istituzioni.

PD Dr. Med Mattia Lepori. Vice Capo area medica EOC
Presidente Commissione di Etica Clinica (COMEC) 

Referenza 1 La capacità di discernimento nella prassi medica. Direttive ASSM Bern2019