Signor Presidente della Commissione nazionale di etica in materia di medicina umana, Markus Zimmermann,
Signora vice-presidente della CNE, Samja Hurst Majno,
Signore e signori membri di comitato;
Signora Sofia Balzaretti, rappresentante dell’ Ufficio federale della parità per le persone con disabilità,
Signor Presidente della Commissione di etica clinica nell’ambito della disabilità, caro Roberto,
Signore e Signori rappresentanti delle attività e agenzie sanitarie e sociali, membri delle commissioni etiche,
Spettabile pubblico,
porto con molto piacere il mio saluto personale e quello dell’autorità cittadina a questa riunione pubblica della CNE e ringrazio il dottor Malacrida per avermi voluto qui. Il mio compito è naturalmente soprattutto questo: il saluto come segno, anche, di considerazione per l’attività di questa importante, preziosa Commissione, ma anche di attenzione ad un tema estremamente complesso e delicato. lo, lo dico subito e non ho problemi a riconoscerlo, non ho titolo ne autorità e meno ancora
autorevolezza per discettare di simili questioni. È vero a suo tempo ero stato a capo dell’Ufficio di vigilanza sulle tutele e a volte capitava che il tema venisse evocato. Ma, in realtà, se ne è sempre parlato poco.
Oggi mi rivolgo a voi con queste non troppe parole soprattutto in qualità di cittadino e un po’ di sindaco; un ruolo che, per sua natura, richiede attenzione e una certa comprensione di quello che succede nella sua città, nella propria comunità, poco importa se si tratta di questione di molti o di pochi. Quello della sterilizzazione di persone con gravi e durature disabilità è un tema che, magari,
non riguarda un numero troppo elevato di persone, ma che per la sua natura investe da vicino-molto più da vicino di quanto magari non tendiamo a credere ad una prima sommaria riflessione – il sistema di valori e regole che regge la nostra società. In effetti il modo in cui il consorzio umano di cui facciamo parte affronta questo tema, le procedure che si dà, il discorso proposto e le risposte date, dicono molto di noi, del nostro grado di attenzione per i diritti delle persone più fragili e vulnerabili e, quindi anche, della nostra capacità di integrare nella nostra riflessione – e quindi anche nella nostra vita – elementi che non attengono solo al dominio dei rapporti di forza o di potenza- ma che riesce a vedere ed andare oltre.
Sapere che anche le persone più vulnerabili, non solo hanno diritti – cosa che oggi almeno sul piano teorico non facciamo fatica a riconoscere – ma che possono e devono anche essere attuati, è profondamente rassicurante e tranquillizzante.
Vivere in un Paese in cui organi istituzionali – lo Stato, i suoi uffici, i tribunali, il sistema sanitario – non agiscono solo in funzione di valori economici e finanziari, di criteri funzionali e di efficienza, di principi numerici – compresi quelli del suffragio elettorale per cui la maggioranza ha sempre ragione e decide anche per le minoranze – regala sicurezza e forse anche “salute”.
Rimane, in ogni caso, che la persona disabile, anche quella che soffre di una disabilità grave e duratura, è persona titolare di prerogative giuridiche importanti e inviolabili, tra cui il diritto alla vita, all’integrità fisica, all’onore, al rispetto dei propri sentimenti, il diritto ad una vita affettiva e anche sessuale. Diritti ancorati al principio di autodeterminazione in forza dei quali ogni individuo decide da solo per sé.
Sorgono poi però alcune domande importanti:
Cosa succede quando una persona sembra non essere in grado di determinarsi valutando le diverse opzioni? Gli vogliamo riconoscere il diritto – e la possibilità di esercitarlo – di avere una vita affettiva? E una vita sessuale? E la sterilizzazione come interviene in questo discorso: è una misura di “sua” protezione? O di protezione della società? Se la persona non è in grado di dare il proprio consenso, è (ancora) una misura di protezione legittima? E se è finalizzata a consentirgli una vita affettiva e sessuale? E’ possibile conciliare “libertà” e, quindi, ad organizzare la propria esistenza secondo le proprie aspirazioni e dall’altro “protezione” che vuole che siano prese misure eventualmente anche contro la volontà della persona, atte ad evitare o prevenire scelte che gli o le sarebbero pregiudizievoli? E ancora: il nostro sistema, poi, ammette il principio di una “libertà” senza “responsabilita”
Non mi dilungo e non vado oltre.
Per oggi e per il momento, da cittadino e da sindaco, mi basta sapere che il tema è discusso seriamente, in gremi formati da persone attente, consapevoli dei limiti, senza pregiudizi ideologici o religiosi.
Mario Branda, Avvocato e Sindaco di Bellinzona