Il modello del ragazzo Gus

No, non è la cosa più bella del mondo avere un figlio con disabilità. Non è un dono del cielo o di chiunque presieda agli umani eventi avere un familiare tetraplegico,
autistico, privo di braccia e gambe, leggermente mediamente o gravemente menomato, in costante pericolo di vita. È meglio, moltissimo meglio, avere figli e fratelli e sorelle e genitori e familiari dotati di corpo e mente nella norma, che poi la vita si incarica comunque di assegnare a ciascuno la sua quota parte di sofferenze. Questo per sgombrare il campo alla retorica del dolore, quella del figlio down “che ho sempre desiderato”, per esempio. Ne ho esperienza diretta: lo dico, sebbene con fatica, giacché so bene che vale solo esibire la biografia a prova della propria autorità a interloquire, vale solo l’esperienza diretta come fonte di competenza, non il pensiero astratto non la capacità di immedesimazione. No.

Bisogna specificare di aver patito in prima persona quel peculiare tipo di dolore e vorrei dunque tranquillizzare chi eventualmente volesse di nuovo augurarmelo, quel dolore, come accaduto in passato. Lo so, questa cosa la so, per ascendenti e discendenti: dunque so che sarebbe meglio, sarebbe stato meglio, poterlo evitare, ma quando arriva non si può far niente altro che starci, dedicarsi, imparare, persino gioire dei piccolissimi e grandi progressi ed essere, certamente, felici financo così. “Adattarsi”, come dice il titolo di quel bellissimo libro di Clara Dupont-Monod, in Italia lo pubblica Clichy (si può sempre attingere all’esperienza altrui, per esempio leggendo. Si può capire cosa vuol dire avere un fratello destinato a morire bambino senza averne avuto uno. Sul serio: si può). Sarebbe ottima pratica, penso frequentando moltissimo luoghi di grande dolore, domandarsi se per caso la persona a cui si indirizza un malaugurio, una critica feroce o un’invettiva non abbia per caso una ferita nascosta, perché dicerto ce l’ha. Tutti ne abbiamo una. Sarebbe buona pratica ricordare sempre che non sappiamo dove alberghi il danno della persona che abbiamo di fronte. Non lo sappiamo, ma c’è.

È tornato su come acqua scura dallo scarico, tutto questo, l’altro giorno quando i repubblicani, in America, hanno deriso il figlio di Tim Walz, Gus: il ragazzo che ha pianto a sentir parlare suo padre, candidato alla vicepresidenza. Si è molto emozionato, ha chiuso gli occhi, si è agitato. Il padre naturalmente ha detto, lo aveva detto nei giorni precedenti, che questo figlio è un dono, è un essere umano da cui lui e sua moglie e la sua famiglia hanno imparato moltissimo, lo amano incondizionatamente. Che naturalmente è vero, come è di certo vero che sarebbero stati tutti lieti di non avere la diagnosi infausta, non so esattamente quale, una forma di “autismo non verbale” ho letto, non lo so, non è importante. Una disabilità costa fatica e la vita è già molto faticosa di suo: una disabilità costa molta più fatica. A chi la patisce, a chi gli sta attorno. Quello che è osceno è che gli avversari politici abbiano irriso questo ragazzo paragonandolo in foto, sui social, al figlio di Donald e Melania Trump, Barron. Un ragazzino biondo col ciuffo, normodotato, di bell’aspetto, molto somigliante ai suoi genitori i quali, mi permetto un’incursione in terra incognita, non so se siano la coppia più felice del globo. Non mi pare, certo è solo un’impressione ma non mi pare che Melania Trump sia serena e risolta nel matrimonio, armonica nella relazione ed equilibrata, per non dire dell’equilibrio di Lui. Anche Barron, il ragazzino biondo, avrà i suoi problemi. Certo non gli stessi di Gus Walz, altri problemi.

C’è un tema, qui: è il modello maschile di riferimento. Il delegato trumpiano del New Jersey, Mike Crispi, ha scritto: il figlio di Trump ha pianto quando ha parlato suo padre? No. Forse non ama suo padre? Certo che sì. Scegliete il modello di educazione che preferite. Ecco, il modello. Vorreste avere un figlio come quello di Trump o come quello di Walz. Votate. Dunque la questione è anche questa. Non è solo essere o non essere dotati di corpo e psiche conforme, come si dice nella neolingua. La questione è che i maschi repubblicani non piangono, quelli democratici sì. I veri maschi, quelli secondo tradizione, si trattengono e non mostrano i loro sentimenti. Per molti anni, direi per tutta la vita, mi sono occupata di ragazze. Cosa pensano le ragazze, le ragazze del secolo scorso, lettera a una ragazza del futuro. In molti lavori che hanno impegnato il mio tempo nei decenni, vedo ora retrospettivamente, c’è, nel titolo, la parola ragazze. Anche in quelli che hanno realizzato altri, ispirandosi a questi: programmi tv libri e molto altro di cui sono lieta, le idee si moltiplicano e altrove fioriscono. Spesso, quasi sempre, quando ne parlavo in pubblico c’era qualcuno che mi chiedeva: e i ragazzi? Perché non parla dei ragazzi? Ho letto di recente che anche a Francesca Cavallo, l’autrice delle Storie della buonanotte per bambine ribelli, chiedevano e i bambini? E i ragazzi? Non mi sono occupata dei ragazzi, è vero, pur avendo quattro figli maschi e pur comprendendo l’apprensione di genitori giovani che venivano a domandare ma coi maschi, come dobbiamo fare. C’era molto da recuperare, mi pareva e tuttora credo, nel racconto delle donne. Però è vero. È vero che nella cura, nell’ascolto, nella dedizione c’è un deficit, nell’educazione dei giovani uomini, che non riusciamo a colmare.

L’altro giorno era il turno di un infermiere, in ospedale. Non riusciva a rifare il letto, era goffo, non aveva i gesti. Un bravissimo infermiere. Ma in quello, nel rifare il letto, nell’imboccare la vicina, non aveva memoria dei gesti. Si vedeva che da piccolo non l’aveva mai fatto, ci è venuto di aiutarlo, di fare da sole. Perché i maschi non solo non piangono, non gesticolano, non mostrano paura e non arretrano ma -i veri maschi- ma non rifanno i letti, non imboccano. Se avessi davanti i decenni che ho alle spalle mi dedicherei a questo, d’ora in avanti. Alla differenza di modello che c’è a destra e sinistra fra il figlio di Trump e quello di Walz. E no, non per dire che la diversità, la sofferenza, la biologia e la fisiologia, gli ostacoli che la natura ci mette di fronte sono una ricchezza e un’occasione di lieta inclusione. Un dono. No. Quando arrivano ci si adatta e si fa come si può, del nostro meglio, nelle condizioni date. Ma è la cultura, non la natura, il tema su cui possiamo incidere: le fiabe che si raccontano, le chiavi di casa che si danno, l’indulgenza che si esercita. Le raccomandazioni, stai attento a tua sorella, l’orgoglio, è caduto ma non si è lamentato. Non riguarda solo i repubblicani americani. Riguarda noi, tutti. Quell’infermiere attentissimo, gentile, che un lenzuolo stirato, però, un letto tirato a casa sua non deve averlo fatto mai. Piangere di gioia, di paura, arrendersi-mi sono chiesta-gli sarà stato permesso?

Concita De Gregorio, la Repubblica, Agosto 2024.